Quattro
etti d’amore e un barattolo di stranezza. Erica e Tea. Due donne dalle vite
tanto diverse quanto comuni sono le protagoniste del nuovo romanzo, tutto al
femminile della giovane scrittrice Chiara Gamberale, nata a Roma il 27 Aprile
1977 e autrice di altri romanzi di successo, tra i quali “Le luci nelle case
degli altri” e “L'amore quando c'era”.
Erica ha una vita tranquilla,
normale, un posto fisso in banca, moglie di Michele e madre di Viola e Gustavo.
Ma una rapina in banca, la frase
di una collega, sentenziata nel momento di massima tensione, in bilico tra la
vita e la morte "Ma tu ci pensi, Erica? A tutte le esistenze che
potrebbero farci felici, se non fossimo sempre alle prese con la nostra?"
la farà riflettere e, in un certo senso cambiare. Le farà sognare una vita
diversa, una vita come quella della madre sull'isola turistica di Formentera,
alla ricerca di se stessa dopo l’abbandono dell’ormai ex marito, patrigno di
Erica e padre di Eros, fratello tossicodipendente a cui Erica è affezionata, le
farà sentire una sensazione che lei stessa chiama “sottovuoto”, l’aria che le
manca e il corpo che si mette a galleggiare, per conto suo, dentro una sorta di
sacchetto, e fuori dal sacchetto tutto il mondo. L’ansia, i pensieri, le
preoccupazioni, i doveri, tutto si confonde tutto diventa un’unica cosa:
niente. Sarà proprio questa sensazione, fantastica, leggera ma allo stesso
tempo insopportabile che la porta ad essere più nervosa, a non prendere
facilmente sonno, ad essere distratta, sembrare disinteressata di tutti e tutto
e a mettere a repentaglio il matrimonio, fino a quel momento stabile con il
marito.
Erica inconsciamente si rifugia
nel suo passato, si iscrive ad un gruppo su un famoso Social Network, “Quelli
della mitica B del Rousseau 1991-1996”, e riprende i contatti con i vecchi compagni
delle superiori, tra i quali, Davide Morelli: con lui è come se il sottovuoto
esplodesse, hanno molto in comune, ad esempio la passione per una serie
televisiva “Testa e cuore”, la cui attrice protagonista è proprio Tea
Fidelibus, la donna che Erica incontra quasi ogni giorno al supermercato e,
osservando i suoi acquisti sogna. Sogna la vita di Tea, la vede perfetta, piena
di avventure piena di… vita! Quella che lei stessa vorrebbe, quella per cui si
chiede “ma la vita è mia o è lei che sta vivendo me?”.
Pensa alla vita della bellissima
Tea e a suo marito Riccardo Bruni e si convince che “va tutto incontro alle
persone come lei”. Ma si sbaglia.
Anche Tea, osserva il carrello
di Erica e sogna. Sogna una vita normale, una famiglia e la stabilità di una
relazione. Ama un uomo sbagliato, quello giusto ama lei, o forse no, si chiede
“cosa vuol dire giusto, cosa vuol dire sbagliato, cosa vuol dire… me?”. Osserva
il carrello di Erica crede che dalla sua spesa si capisca che a casa sua ci sia
sempre qualcosa da festeggiare, la vita, semplicemente , che passa lenta come
il nastro della cassa, per tutti, ma per una come lei, sopportabile, a tratti
magnifica.
Tea è sposata con Riccardo
Bruni, critico teatrale e performer, un uomo particolare, stupendo ma marcio.
Si innamorano sul set dello spettacolo teatrale “Peter Pan” messo in scena
dallo stesso Riccardo, e da quel momento il loro rapporto sarà simile a quello
dei due protagonisti della storia. La loro relazione è finita da molto tempo ma
continuano a stare insieme in una sorta di rapporto di interdipendenza: lei
vede in Riccardo la sua salvezza dalla cleptomania da cui era affetta e che
dopo averlo incontrato era sparita, l’unico in grado di capirla, anche se,
afferma lei stessa: “preferirei che mi capisse meno e mi amasse di più”. Lui
vede in Tea l’unico appiglio alla vita reale che lui stesso sembra rifiutare
con tutte le sue forze. Il loro rapporto è tumultuoso e forse un po’ infantile,
come se fossero Wendy e Peter Pan, eterni bambini alla ricerca di qualcosa di
indefinibile. “Peter Pan non vuole crescere, non lo conosce l’alfabeto degli
affetti”, ma Wendy deve crescere, e infatti crescerà e troverà conforto
nell’amico Fabiano e nel personal trainer Anthony.
Le vite di Erica e Tea procedono
parallelamente e l’unico contatto avviene al supermercato. Un contatto tuttavia
ignaro ad entrambe ma che le porterà a un processo di riflessione e
ricostruzione di sé. I temi principali del romanzo, che accomunano le due
protagoniste sono l’infelicità, la frustrazione e l’insoddisfazione. “E’ un
casino, non avere più una vita” dice l’attrice. “Anche avere sempre la stessa”
dice l’altra. Entrambe “Credono che l’esistenza che trascinano gli sia capitata
come una dannazione: invece è esattamente l’unica che desiderano, l’unica
adatta a loro”.
Chiara Gamberale riesce a
sorprendere il pubblico, con questo romanzo che si legge tutto d’un fiato. I personaggi
sono profondi e interessanti, anche se spesso la trama non è chiara a causa dei
frequenti soliloqui. Ogni capitolo si apre con la lista della spesa di una
delle due protagoniste, e ciò nette in evidenza la loro profonda diversità:
Erica fa la spesa di una madre di famiglia, Tea invece non va oltre i cibi
surgelati facili e veloci da preparare. Le voci narranti del romanzo sono
proprio quelle delle due protagoniste che si alternano per ogni capitolo,
effetto che riesce a catapultare il lettore nella psicologia delle due donne e
rendere il romanzo più realistico e interessante.
La storia è attuale e vera, e la struttura
evidenzia un ottimo modo di descrivere la
vita e la percezione della stessa da parte dell'essere umano.
“Quanto pesa quello che siamo? E quello che non abbiamo?”
Finale alternativo
- Un flacone di crema solare.
Stamattina al supermercato ho incontrato la
signora Cunningham, pare si chiami Erica. Stranamente ha comprato soltanto un
flacone di crema solare, io invece tutto ciò che era necessario per la cena di
stasera con Riccardo. In un certo senso sembrava che ci fossimo scambiati i
ruoli per un giorno e questo mi rendeva felice, per questo motivo le ho
sorriso, ma lei sembrava così distratta…
Comunque era anche la prima volta che andassi
al supermercato con Riccardo, avevamo deciso di ricominciare, di aggiustare
quello che si era spezzato tra di noi. E scegliere gli ingredienti insieme e
preparare la cena, insieme, mi sembrava un buon inizio ma sono comunque rimasta
sorpresa quando ha accettato, anche se un po’ titubante.
La cena è trascorsa normalmente, come i pranzi
della domenica con la mia famiglia molti anni fa, ma ciò che mi ha colpita e
che mi ha cambiata è stato il momento di assaporare il dolce che avevamo
preparato poco prima.
-
“E’ delizioso!”
-
“Hai ragione”
-
“forse questa normalità non è poi
così male, forse crescere non è solo una sofferenza, forse dovremmo farlo più
spesso, provarci almeno, ad essere
“normali”, non credi Tea?”
Era la prima volta
in cinque anni che mi chiamava con il mio vero nome e non “Wendy”. E la prima
volta in cinque anni che si sforzava a fare qualcosa per me. E in quel momento,
per la prima volta, in tutta la mia vita, mi sono sentita, davvero, a casa.
-
Tutto ciò che serve.
Eros mi ha convinta “Dai Erica. Fai qualcosa,
una soltanto, per te e basta. Prendi quell’aereo”. Così ho deciso. Parto. Per
Formentera. Per due settimane. Ho convinto Michele e i bambini che andrò a
trovare mia madre che dopo l’abbandono di Alejandro non si dà pace. Nessun
dissenso. Dopo il nostro litigio Michele non è quasi mai in casa e quando lo è
dorme o guarda la televisione.
Chiamo Eros.
-
“Ho deciso di partire, avevi
ragione, mi farà bene, e dopotutto non ho niente da perdere”
-
“Perfetto Erica, sappi che per
qualsiasi cosa sono qua, per te”
Mi fa sempre piacere parlare con lui, sarà
quel legame fraterno che dopotutto non si è spezzato. Così inizio a
raccontargli dell’ultimo periodo.
-
“Sai ieri ho incontrato Tea al
supermercato, come sempre, ma per la prima volta in quasi due anni che la vedo,
era con il marito, con Riccardo Bruni. Incredibile! Ma non è tutto: era come,
diversa, aveva una luce negli occhi, nuova… viva! E nel carrello non c’erano le
solite lasagne e pizze surgelate, no, c’erano prodotti freschi, e lei
sorrideva, come non aveva mai fatto prima, come se quel gelo che sembrava
arieggiare intorno a lei si fosse d’un tratto sciolto.”
-
“Interessante”
-
“già…”
Due giorni dopo parto. Preparo le valigie,
saluto Michele, i bambini e vado a ritrovare o forse a perde me stessa.
Formentera è un isola fantastica, a anche qui
l’effetto sottovuoto mi perseguita e sembra che niente riesca a riportarmi a
galla dall’abisso in cui da troppo tempo sto in apnea. Le due settimane
passano, in fretta, e non provo nulla: non ho trovato me stessa, e non mi sono
nemmeno persa, sembra che tutto questo sforzo sia stato inutile, come se
cercassi di scappare da qualcosa che in realtà è dentro di me. Così torno a
casa. Dopo due settimane.
Arrivo all’aeroporto, prendo un taxi che mi
porta davanti casa, è passata mezzanotte e staranno dormendo tutti, quindi
entro in casa piano cercando di non fare rumore; ma la luce si accende
improvvisamente, sia fuori che dentro di me.
Trovo Michele, Gustavo e Viola ad aspettarmi,
hanno preparato diversi dolci. “Per festeggiare il tuo ritorno, mamma” dice
Viola. E in quel momento sento come uno scoppio, nella mia testa è ovvio. Il
sottovuoto è sparito, e resto solo io, io e la mia vita, io e la mia famiglia.
E se prima pensavo che la vita che facevo non mi sembrava la mia, anzi si , mi
sembrava, certo che era la mia, ma senza di me. Ora no, ora nella mia casa,
nella nostra casa, tutto sembra al suo posto, tutto. Capisco che non sono i
bambini ad aver bisogno di me, e neanche Michele; o forse si, ma per la prima
volta, mi accorgo che la mia vita, senza loro, non sarebbe la mia vita,
sarebbe, appunto, un’apnea.
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