Nel sesto capitolo del "Principe",
breve trattato politico scritto da Nicolò Machiavelli e diviso in 26 capitoli,
l'autore pone la sua attenzione sui principati nuovi che si acquistano con armi
proprie e con la virtù. Inizialmente egli introduce l'idea del principio di
imitazione, secondo il suo ideale, infatti i comportamenti degli uomini non
variano nel tempo ed afferma che gli uomini camminano "quasi sempre per le
vie battute da altri"; in questo senso anche il principe deve seguire le
orme dei grandi politici del passato. Egli elenca alcuni uomini antichi da
prendere come modelli: Mosè, il quale liberò gli ebrei dall'Egitto, Romolo, che
fu il primo re di Roma, Ciro e Teseo. Questi uomini ricevettero dalla fortuna
l'occasione di dimostrare e mettere in pratica la loro virtù, Mosè ad esempio
ha ricevuto questa occasione dal fatto che il popolo d'Israele fosse
prigioniero in Egitto, Ciro invece era riuscito a salire al potere solo perché la famiglia che lo aveva preceduto era odiata
dal popolo; Teseo infine non avrebbe potuto dimostrare la sua virtù se i i
popoli dell'Attica non si fossero riuniti ad Atene. Machiavelli afferma che la
più grande difficoltà che un principe affronta quando sale al potere è data dai
nuovi ordinamenti che è costretto ad introdurre per dare delle solide
fondamenta allo stato: egli infatti si ritrova come nemici tutti quelli che
traevano vantaggio dal vecchio ordinamento che sarà difeso con accanimento; ed
avrà come difensori tutti quelli che trarrebbero vantaggio dal nuovo
ordinamento, ma lo appoggeranno con poca combattività. Egli afferma che per
mettere in opera le sue riforme, se è necessario, un principe debba usare la
forza propria, oppure chiedendo aiuto ad altri; ad esempio Mosè, Ciro, Teseo e
Romolo non avrebbero potuto far osservare a lungo le loro leggi ai popoli se
non avessero usato la forza. Machiavelli
utilizza anche l'esempio negativo di Savonarola, che andò in rovina perché
non aveva utilizzato la forza per controllare la parte della popolazione che
non credeva più in lui. Incitamento alla violenza potrebbe sembrare negativo,
ma Machiavelli afferma che il popolo dimentica rapidamente la violenza iniziale
del principe ed inizia a venerarlo per le sue virtù. Nell'ultima parte del
capitolo Machiavelli afferma che chi acquista potere con grande fatica avrà più
facilità nel mantenerlo; se serve dell'esempio di Gerone Siracusano, il quali
sconfisse i Mamertini che minacciavano Siracusa e divenne tiranno.
In questo capitolo, come in tutta l'opera
Machiavelli ricorre all'impostazione dilemmatica del discorso, che si esplica
nell'uso costante della proposizione disgiuntiva: alla riga 14 "o fortuna
o virtù", alla riga 16 "o l'una o l'altra", alla riga 22 "o
acquistato o fondato regni" ecc..
Alle righe 9-11
troviamo una metafora :" fare
come gli arcieri prudenti, e quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo
lontano e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco,
pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiungere
con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere con l’aiuto di sì alta mira
pervenire al disegno loro.” machiavelli afferma che un principe debba mirare in alto, poiché come l’arciere deve mirare
più in alto del suo bersaglio se vuole centrarlo, così egli deve “temere” che i suoi obbiettivi siano sempre al
di sopra delle sue capacità, e allora impegnarsi ad essere all’altezza di essi.
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