giovedì 29 gennaio 2015

Luigi Pirandello - Vita - Opere - Pensiero

VITA
Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 a Girgenti (Agrigento) da una famiglia borghese. Studio lettere all'università di Palermo successivamente all'università di Roma ma presto si trasferì all’università di Bonn e iniziò la sua produzione letteraria. L’esperienza degli studi in Germania fu importante perché non mi si contatto con la cultura tedesca in particolare con gli autori romantici, che ebbero una profonda influenza sulla sua opera e sulle sue teorie riguardanti l'umorismo. Nel 1892 si stabilì a Roma dedicandosi alla letteratura e qui si sposò. Nel 1903 un allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito tutto i suoi risparmi, provocò il dissesto economico della famiglia che ebbe conseguenze drammatiche nella vita dello scrittore: la moglie sprofondò irreversibilmente nella follia e ciò costituì per Pirandello il germe della sua concezione dell'istituto familiare come trappola che imprigiona e soffoca l'uomo. Con la perdita delle rendite mutò anche la condizione sociale di Pirandello. Quest'ultimo, come Svevo, fu segnato dall'esperienza della declassazione, da agio borghese a una condizione di piccolo borghese. Questo fatto gli fornì lo spunto per la
rappresentazione del grigiore soffocante della vita del piccolo borghese. Gli anni della guerra, che inizialmente aveva visto con favore, incisero dolorosamente sulla sua vita: il figlio fu fatto prigioniero e le condizioni della moglie si aggravarono. Nel 1925 assunse la direzione del Teatro dell’Arte a Roma, esperienza che fu resa possibile dal finanziamento dello Stato, infatti si era iscritto al partito fascista, da quale ottenne appoggi e occasioni, ma nei confronti di esso ebbe sempre un atteggiamento di ambiguità: Da un lato il suo conservatorismo politico sociale lo spingeva a vedere il fascismo come  una garanzia d'ordine e come l'affermazione di una genuina energia vitale, dall’altro dovette rendersi conto del carattere di vuota esteriorità del regime. Nel 1934 gli viene assegnato il premio Nobel per la letteratura. Morì il 10 dicembre 1936.

LA VISIONE DEL MONDO
Alla base della visione del mondo Pirandelliana vi è una concezione vitalistica, che è affine a quella di varie filosofie contemporanee: la realtà tutta è vita, perpetuo movimento vitale, eterno divenire. Tutto ciò che si stacca da questo flusso comincia, secondo Pirandello, a morire. In realtà noi non siamo che parte indistinta nell'universale ed eterno fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, a fissarci in una realtà che noi stessi ci diamo, in una personalità che vogliamo coerente e unitaria. Anche gli altri con cui viviamo in società, vedendoci ciascuno secondo la sua prospettiva particolare ci danno determinate forme. Noi crediamo di essere uno per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, al secondo della visione di chi ci guarda. Ciascuna di queste forme è una costruzione fittizia, una maschera che noi stessi ci imponiamo e che c'impone il contesto sociale. Egli condusse quindi una critica del concetto di identità personale, di “io”.
La teoria della frantumazione del io è un dato storicamente significativo: nella civiltà novecentesca entra in crisi sia l'idea di una realtà oggettiva, ordinata, sia di un soggetto forte, unitario, coerente. L’io si perde, si disgrega, e si ha il naufragio di tutte le certezze. La crisi dell'idea di d'identità e di persona risente evidentemente dei grandi processi in atto nella realtà contemporanea, con l’affermarsi di tendenze depersonalizzanti: l’istaurarsi del capitale monopolistico, l'espandersi della grande industria e l’uso delle macchine. L'idea classica dell'individuo creatore del proprio destino e dominatore del proprio mondo ora tramonta: l'individuo non conta più e la presa di coscienza di questa inconsistenza dell'io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento dolore, angoscia e solitudine.
Queste forme sono sentite come una trappola in cui l’individuo lotta per liberarsi. Pirandello ha un senso acutissimo della crudeltà che domina i rapporti sociali. La società agli appare come una costruzione artificiosa, fittizia, che isola irreparabilmente l'uomo dalla vita, che lo impoverisce e lo irrigidisce, lo conduce alla morte anche se apparentemente continua a vivere. Alla base di tutta l’opera pirandelliana si può scorgere un rifiuto delle forme della vita sociale, dei suoi istituti, di ruoli che si impone, un bisogno disperato di autenticità, di immediatezza, di spontaneità vitale.  L'istituto in cui si manifesta per eccellenza la trappola della forma che imprigiona l'uomo è la famiglia con il suo grigiore, le tensioni, gli odi e i rancori. L'altra trappola e quella economica, costituita alla condizione sociale e dalla lavoro: i suoi eroi sono prigionieri di una condizione misera e stentata, di lavori monotoni frustranti, di un'organizzazione gerarchica oppressiva. Da questa trappola non si dà per Pirandello una via d'uscita storica: il suo pessimismo è totale, non gli consente di vedere altre forme di società diverse.
L'unica via relativa di salvezza che si dà ai suoi eroi è la fuga nell'irrazionale, nell'immaginazione che trasporta verso un altrove fantastico, oppure nella follia che è quello strumento di contestazione per eccellenza. Il rifiuto della vita sociale da luogo nell'opera pirandelliana a una figura ricorrente emblematica: il “forestiere della vita”, colui che ha preso coscienza del carattere del tutto fittizio del meccanismo sociale e si esclude sì isola guardando vivere gli altri dall'esterno della vita e dall'alto della sua superiore consapevolezza, rifiutando di assumere la sua parte. È quella che Pirandello definisce anche filosofia del lontano: che consiste nel contemplare la realtà come da un'infinita distanza.  In queste figure di eroe estraniato alla realtà ci proietta la figura stessa di Pirandello.
Caratteristica delle vicende Pirandelliane è un radicale relativismo conoscitivo: non ci dà una verità oggettiva fissata a priori. Ognuno ha la sua verità che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose. Ne deriva un inevitabile incomunicabilità fra gli uomini, la quale accresce il senso di solitudine dell'individuo. Nella visione umoristica di Pirandello la realtà si sfalda in una pluralità di frammenti che non hanno un senso complessivo. Questa crisi della totalità colloca Pirandello già oltre il decadentismo, anche se ne presenta alcune tendenze. Per Pirandello infatti l'io si frantuma, si annulla in una serie di frammenti incoerenti. Alla base de Decadentismo vi è l’idea che in momenti privilegiati uno slancio di partecipazione mistica può portare il soggetto nel cuore della realtà, a cogliere la sua essenza ultima e se per il Romanticismo e il Decadentismo l’interiorità era il centro del reale, in Pirandello questo centro scompare, il soggetto da entità assoluta diviene nessuno.

LA POETICA
Il più importante e conosciuto saggio di Pirandello è “L'umorismo”. Si tratta di un testo chiave per comprendere la sua concezione dell’arte e della poetica. L'opera d'arte, secondo Pirandello, nasce dalle libero movimento della vita interiore; nell’opera umoristica la riflessione non si nasconde, e si pone nei confronti del sentimento come un giudice, lo analizza e lo scompone. Di qui piace il sentimento del contrario, che è il tratto caratterizzante l'umorismo per Pirandello. Esempio: “Se vedo una vecchia signora con i capelli tinti e tutta imbellettata, avverto che è il contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere. Questo avvertimento del contrario è il comico. Ma se interviene la riflessione e suggerisce che quella signora soffre a pararsi così e lo fa solo nell'illusione di poter trattenere l'amore del marito più giovane, non posso più solo ridere: dall'avvertimento del contrario, cioè dal comico, passo al sentimento del contrario, cioè all'atteggiamento umoristico.” La riflessione coglie il carattere molteplice e contraddittorio della realtà, permette di vederla da diverse prospettive e il tragico e il comico si fondono.

LE POESIE
Pirandello compone poesie per un trentennio dall’età di sedici anni. Egli rifiuta il simbolismo, il futurismo, l'espressionismo, e conserva le forme metriche tradizionali. Le raccolte sono: “Mal giocando”, “Pasqua di Gea”, “Le elegie renane”, “Zampogna”, “Fuori di chiave”, in cui è già raggiunta la consapevolezza della fine dell’antropocentrismo e la pluralità dell’io.

LE NOVELLE PER UN ANNO.
Pirandello scrisse novelle per tutto l’arco della sua attività creativa. Si tratta di una produzione copiosissima, nata per lo più in modo occasionale, per la pubblicazione su quotidiani e riviste, che egli si preoccupò di raccogliere in volumi col titolo complessivo di “Novelle per un anno”. Nella raccolta pirandelliana non si riesce individuare un ordine determinato: la molteplicità di situazioni, casi e personaggi dà l'impressione di una successione di particolari che non riescono a inserirsi in una totalità organica.
Si distinguono due gruppi particolari di novelle:
-          Le novelle siciliane: sono novelle collocate in una Sicilia contadina. Esse posso a prima vista ricordare il verismo, ma in realtà non vi si riscontra per nulla all'attenzione ai dati documentari né l'indagine scientifica sui meccanismi della società e, quelle figure di un arcaico mondo contadino sono deformate fino al parossismo da una carica grottesca, che le trasforma in immagini bizzarre, stravolte, ai limiti della follia.
-          Le novelle piccolo borghesi: in esse si susseguono una serie di figure umane che rappresentano la condizione piccolo borghese, una condizione meschina, grigia, frustrata. La trappola in quei questi esseri sono prigionieri è costituita da una famiglia oppressiva e soffocante o da un lavoro monotono e meccanico che mortifica e fa intristire l'individuo. L'analisi di Pirandello si appunta con feroce lucidità sulle convenzioni sociali che impongono all'uomo maschere fittizie e ruoli fissi, e sul rifiuto di ogni forma o società organizzata.
Nelle novelle Pirandello mette in opera il suo tipico atteggiamento umoristico. Lo scrittore si accanisce nel deformare espressionisticamente i tratti fisici, carica fino al prossimo i gesti movimenti, trasformando le figure umane in gesticolanti, allucinate marionette. Da tutto questo meccanismo assurdo scaturisce forzatamente il riso, ma è un riso sempre accompagnato, in nome del “sentimento del contrario”, da una pietà dolente per un'umanità così avvilita. Caricando espressionisticamente la maschera che ognuno porta sul volto, Pirandello distrugge l'idea stessa di personalità coerente.

I ROMANZI

L ESCLUSA
È una storia ambientata in Sicilia di una donna accusata ingiustamente di adulterio, che viene cacciata di casa dal marito e vi verrà riammessa solo dopo essersi resa effettivamente colpevole. Il romanzo ha ancora legami con naturalismo, sia nella materia se l'impianto narrativo. Al centro vi è ancora apparentemente un fatto dalla forte potere condizionante, l'adulterio; ma il fatto non ha vera consistenza oggettiva, Marta non è colpevole, e deve scontrarsi con la realtà soggettiva del marito, della famiglia e dei suoi concittadini, convinti della sua colpa.
La struttura della vicenda (Marta viene scacciata quando è innocente, riaccolta in casa quando è colpevole) sottolinea gli aspetti assurdi, paradossali delle azioni umane pertanto si può già scorgere l’impostazione umoristica delle vicenda.

IL TURNO
Un romanzo in cui un innamorato deve aspettare il suo turno per sposare la donna amata, dopo la morte di altri due mariti. Il tema centrale è il gioco del caso.

IL FU MATTIA PASCAL.
È la storia paradossale di un piccolo borghese, imprigionato come sempre nella trappola di una famiglia insopportabile e di una misera condizione sociale: non ama la moglie e il matrimonio per lui si rivela un inferno e ha una misera condizione sociale, professando il mestiere di bibliotecario. Egli si trova improvvisamente libero e padrone di se: diviene economicamente autosufficiente grazie a una cospicua vincita a Montecarlo e apprende di essere ufficialmente morto, in quanto la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere di un annegato. Ma invece di approfittare della liberazione dalla forma, Mattia Pascal si sforza di costruire un'identità nuova, assumendo il nome di Adriano Meis e immaginandosi una nuova personalità, una storia passata, una famiglia e una serie di memorie. In lui resta insuperabile l'attaccamento alla vita sociale, alla trappola, quindi egli soffre perché la sua identità falsa lo costringe a l'esclusione dalla vita degli altri: si innamora di una donna, che però non può sposare perché socialmente non esiste e inoltre, derubato dal cognato della fanciulla, non può neppure denunciarlo alla polizia; si sente dunque come un’ombra inconsistente e ben presto prova un senso di vuoto e solitudine. Decide pertanto di rientrare nella sua vecchia identità, ritorna in famiglia, ma scopre che la moglie si è risposata e ha avuto una figlia ed egli non può fare altro che adattarsi alla sua condizione sospesa di forestiere della vita, consapevole di non essere più nessuno; per necessità, dunque, si distacca dalla realtà, riprende il suo posto nella biblioteca e si dedica a scrivere la propria esperienza che costituisce il romanzo stesso. I temi più rilevanti sono: la trappola dell'istituzione sociale e la critica dell'identità dell'individuo. Nel fu Mattia Pascal si assiste a una prima prova altamente significativa della poetica dell'umorismo. La realtà, attraverso il gioco paradossale del caso, viene grottescamente distorta, al di là delle riso vi è la sofferenza del protagonista. Scatta dunque il sentimento del contrario: tragico e comico. Non troviamo più la narrazione in terza persona, il romanzo è raccontato dal protagonista stesso. Al punto di vista soggettivo si sostituisce un punto di vista soggettivo, parziale, sostanzialmente inattendibile è inaffidabile, che non fornisce una prospettiva certa sugli eventi, e contribuisce a dare il senso della relatività del reale.

I VECCHI E I GIOVANI
Il romanzo rappresenta un passo indietro rispetto alle innovazioni precedenti. L'impianto è ancora vicino a quello della romanzo naturalistico. Nella sua forma esteriore è un romanzo storico che rappresenta le vicende politiche sociali della Sicilia e dell'Italia negli anni 1892/ 93 come la rivolta dei fasci siciliani. Al centro della vicenda vi è una famiglia nobile di divergenti, i Laurentano. L'Intreccio si basa sul confronto fra due generazioni: i vecchi, che hanno fatto l'Italia, ma vedono i loro ideali risorgimentali sviliti, rinnegati dalla corruzione politica presente, e i giovani che appaiono smarriti e incerti sulla direzione da imprimere alla loro vita. Un giovane è Landro Laurentano, divenuto socialista, dinanzi alla dura repressione della rivolta dei fasci si chiude in una rassegnata delusione. Il vecchio Don cosmo Laurentano, che rappresenta la figura del filosofo estraniato, che ha capito il giuoco e guarda la vita come da un'infinita lontananza. Agli occhi del vecchio le passioni degli uomini, gli ideali patriottici, le conquiste del potere economico, le ideologie politiche sono pure illusioni, prive di realtà oggettiva. Il complesso quadro storico del romanzo finisce per accattivarsi nel fluire intenso della vita. Non si ha la rappresentazione diretta dei fatti attraverso scene drammatiche, ma i fatti sono allontanati con una serie di procedimenti come l'adozione di punti di vista marginali. Questo distanziamento dei fatti narrati risponde alla “filosofia del lontano”, la quale toglie senso e importanza allo scorrere della storia.

SUO MARITO
Sullo sfondo di un acre rappresentazione satirica degli ambienti intellettuali romani si innesca il motivo del modo tutto soggettivo in cui ciascuno guarda al mondo e dell'incomunicabilità umana che ne deriva. Il contrasto si apre tra Silvia Roncella, scrittrice giunta Roma dalla provincia, e il marito, attento solo agli aspetti economici della vita. L'Inconciliabilità dei due punti di vista sfocia nell'incomprensione totale e nella rottura. La moglie compie il suo percorso di maturazione e di emancipazione, liberandosi del ruolo femminile tradizionale di moglie e madre.

I QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO
Il romanzo è costituito dal diario del protagonista che rappresenta il tipico eroe filosofico, estraniato dalla vita, che contempla l'assurdo affannarsi degli uomini. La sua professione, il suo stare sempre dietro alla macchina da presa che registra la vita, diviene la metafora di questo distacco contemplativo. È una realtà di fronte a cui gli intellettuali del tempo avevano avuto atteggiamenti quanto mai problematici: Pascoli, guardava con paura e orrore alle macchine; D'Annunzio, per esorcizzare un sentimento d'orrore, ha scelto di offrirsi come celebratore della nuova inquietante realtà; i futuristi celebravano la macchina.
Pirandello dinanzi alla realtà industriale e alla macchina è diffidente e ostile: contribuisce secondo lui a rendere meccanico il vivere degli uomini. La vicenda che sta al centro del romanzo sembra proprio uno dei soggetti prediletti del cinema di consumo del tempo, una tempestosa storia d'amore, che ha al centro una donna fatale, l'attrice russa Varia Nestoroff, e si conclude con un finale tragico: un giovane innamorato geloso dell'attrice, mentre si gira una scena con una tigre, spara alla donna anziché alla belva ed è sbranato da essa. In realtà questo soggetto esasperatamente romanzesco è del tutto straniato ironicamente, secondo il procedimento umoristico proprio di Pirandello.

UNO NESSUNO E CENTOMILA
Il romanzo riprende il tema centrale del fu Mattia Pascal: la crisi dell'identità individuale. La moglie del protagonista Vitangelo Moscarda gli fa osservare che il naso gli pende un po’ da una parte; egli, che non lo aveva mai notato, scopre così che l’immagine che si è creato di sé non corrisponde a quella che gli altri hanno di lui, scopre cioè di non essere uno, ma di essere 100.000, e quindi nessuno. Il fatto lo colpisce profondamente e ne nasce una vera e propria ossessione e si determina così una crisi sconvolgente di tutte le certezze. Il protagonista ha orrore delle forme in cui lo chiudono gli altri, ma anche orrore della solitudine in cui piomba allo scoprire di non essere nessuno, decide allora di distruggere tutte le immagini che gli altri si fanno di lui, ricorrendo ad una serie di gesti folli e sconcertanti.
Ad un certo punto un’amica della moglie, Anna Rosa, con un gesto inspiegabile spara a Vitangelo ferendolo gravemente. Ne nasce uno scandalo enorme: tutta la città è convinta che tra lui e la donna ci sia una relazione extraconiugale e Vitangelo, sotto consiglio di un sacerdote riconosce tutte le colpe attribuitegli, dona tutti i suoi averi per fondare un ospizio di mendicità ed egli stesso vi viene ricoverato. Qui trova una sorta di guarigione rinunciano definitivamente ad un'identità e abbandonandosi pienamente al puro fluire della vita. L'eroe non si limita più ad una condizione negativa ma trasforma la mancanza di identità in una condizione positiva, in liberazione completa della vita.  Moscarda ha cercato, con le sue follie, di ribellarsi al sistema delle convenzioni sociale, ma è rimasto sconfitto, ma in questa sconfitta trova una forma di guarigione dalle angosce che lo ossessionavano: accetta di alienarsi totalmente da se stesso e rifiuta definitivamente ogni identità personale, abbandonandosi al fluire mutevole della vita.

Dal punto di vista stilistico Si tratta di una narrazione retrospettiva da parte de l protagonista, nella forma di un ininterrotto monologo. La voce narrante si abbandona ad un convulso argomentare, riflettere, divagare, che dissolve la narrazione dei fatti.

GLI ESORDI TEATRALI

Il contesto teatrale in cui Pirandello veniva a inserirsi era quello del dramma borghese di impianto naturalistico, che si incentrarono sui problemi della famiglia e del denaro e si fondava sulla verosimiglianza e sulla riproduzione della vita quotidiana. Pirandello apparentemente riprende quei temi e quegli ambienti, ma porta la logica delle conversazioni borghesi alle estreme conseguenze: i ruoli imposti dalla società borghese vengono assunti con estremo rigore fino a giungere al paradosso e all'assurdo, così vengono smascherati nella loro inconsistenza.
Di questa prima produzione appartengono:
-          Pensaci, Giacomino!: In cui un vecchio professore che non ha potuto farsi una famiglia a causa del suo esiguo stipendio, decide di vendicarsi sposando una donna giovanissima in modo da costringere lo Stato a pagarle per molti anni la pensione, arrivando a favorire anche il legame della ragazza con un giovane.

-          Così è (se vi pare): in cui il protagonista, il signor Ponza, tiene relegata la moglie perché la suocera non possa vederla. L’uomo afferma che si tratta in realtà della seconda moglie, essendo la prima morta in un terremoto e sostiene che l’anziana donna sia pazza. A sua volta la suocera sostiene che il genero è pazzo e che la donna relegata in casa ù davvero la figlia che si finge una seconda moglie per assecondare il marito. Il caso suscita la curiosità di tutta la cittadina e al termine della vicenda compare la signora Ponza, velata, affermando “Io sono colei che mi si crede, e per me nessuna!”

-          Il giuoco delle parti: Leone Gala, separato dalla moglie, mostra di guardare con indifferenza la relazione di lei con un altro uomo e accetta di fare la sua parte di marito sfidando a duello un gentiluomo che l’ha offesa, ma poi rifiuta di battersi lasciando il compito all’amante. L’opera non ebbe successo, neppure nelle repliche posteriori. Evidentemente la sua radicale novità sconcertava il pubblico, abituato al dramma borghese naturalistico.

LA RIVOLUZIONE TEATRALE DI PIRANDELLO.
In questi drammi Pirandello scompone i due capisaldi del teatro borghese naturalistico, la verosimiglianza e la psicologia. Gli spettatori vedono un mondo stravolto, ridotto alla parodia e all’assurdo, in cui i casi della vita normale sono forzati all'estremo e deformati. I personaggi sono scissi, sdoppiati, contraddittori, in forme astratte e assurte. Pirandello utilizza un linguaggio ricco di frasi interrotte che danno l'idea dell'agitarsi delle passioni, in uno spazio astratto e remoto nella vita reale che impedisce l'identificazione emotiva degli spettatori.

IL GROTTESCO.
In tal modo, Pirandello si accosta decisamente la poetica del teatro grottesco: una farsa che includa nella medesima rappresentazione della tragedia la parodia e le caricature di essa; il grottesco, dunque, non è altro che la forma che l’umorismo assume sulla scena, in cui il comico rivela sempre, al suo fondo, un nucleo di tragica serietà.

IL TEATRO NEL TEATRO

SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE
Con Sei Personaggi In Cerca D'autore, Pirandello porta allo scoperto il rifiuto delle forme teatrali correnti. I sei personaggi a cui allude il titolo, un padre, una madre, un figlio, una figliastra, una bambina, un giovinetto, sono nati dalla mente di un autore (lo stesso Pirandello), ma questi si è rifiutato di scrivere il loro dramma borghese, basato sul classico triangolo adulterino, su conflitti familiari, lutti, colpi di scena. Si presentano su un palcoscenico dove una compagnia sta provando una commedia, affinché gli attori diano al loro dramma quella forma che l'autore non volle fissare. Il dramma segna una rottura radicale con le convenzioni teatrali del realismo ottocentesco: il sipario era il confine che doveva separare la platea dal palcoscenico, cioè la realtà dalla finzione teatrale, invece è spezzata da Pirandello: gli spettatori hanno l'impressione di non assistere a uno spettacolo, ma di cogliere realmente la compagnia mentre sta provando una commedia. A questo punto entrano dal fondo della sala (rompendo di nuovo la barriera convenzionale tra spettatori palcoscenico) i sei personaggi e gli attori, accettano di recitare il dramma dei personaggi.
La vicenda dei personaggi è la seguente: il padre ha scoperto che tra la moglie e il proprio segretario è nato un sentimento e egli decide di assecondarlo, e spinge la moglie a vivere con l'amante, a formarsi una nuova famiglia, abbandonando il figlio. Il padre assiste al crescere della nuova famiglia, alla nascita di tre bambini, e segue l'infanzia della figliastra. Per le difficoltà economiche, la madre rimasta vedova, è costretta a lavorare come sarta per un atelier, ma in realtà la famiglia può sopravvivere perché la figliastra si prostituisce nell'atelier. Qui un giorno giunge il padre, e, senza saperlo, sta per avere un rapporto con la figliastra, ma sopraggiunge tempo la madre a impedire l'unione quasi incestuosa. Il secondo atto è costituito alla morte della bambina, la figlia minore, che per disgrazia affoga nella vasca del giardino, del giovinetto che si spara un colpo di pistola.
Come si vede si tratta di un dramma tipicamente ottocentesco. Nella fase del grottesco Pirandello aveva accettato le strutture convenzionali del dramma borghese, ma le aveva svuotate dall'interno portandole all'assurdo e al paradosso; qui prosegue su questa strada, ma fa un passo avanti, non si accontenta più di svuotare il dramma borghese dall'interno, ma lo rifiuta del tutto, e fa oggetto dell'opera proprio tale rifiuto.
Invece del dramma dei personaggi, Pirandello mette in scena la sua impossibilità di scriverlo; non può scriverlo proprio per il suo carattere esasperatamente romantico. L'impossibilità di rappresentarlo per la mediocrità degli attori, per l'incapacità del teatro di rendere sulla scena ciò che uno scrittore ha concepito: sfiducia nel linguaggio teatrale in sé. I sei personaggi costituiscono così un testo meta teatrale, dove, attraverso l'azione scenica, si discute del teatro stesso. Le soluzioni d'avanguardia del teatro nel teatro sono poi proseguiti da Pirandello in due altri testi: Ciascuno A Suo Modo, è Questa Sera Si Recita A Soggetto. Il primo propone il conflitto tra gli attori e il pubblico il secondo affronta il conflitto fra gli attori e il regista.

ENRICO IV
Al ciclo del “teatro nel teatro”, si ricollega anche “Enrico IV”. Narra la storia di un uomo costretto a vivere rinchiuso da vent’anni in una villa solitaria, dopo essere impazzito per una caduta di cavallo durante una parata in maschera e convinto di essere il personaggio che rappresentava: Enrico IV. Egli continua a restare immerso in quella lontana vicenda storica assecondato da tutti quelli che lo circondano. Nella villa si introduce anche la donna che un tempo amava, con l'amante, ma egli rivela di essere rinsanito da molti anni e di essersi rifugiato nella sua parte per disgusto di una società corrotta e vile. Ora però desidera riappropriarsi della sua vita, nella forma di allora, quindi vorrebbe essere sposato non con la vecchia moglie ma con la figliastra. Il padre di questa si oppone violentemente ma Enrico IV lo uccide e sarà costretto a chiudersi di nuovo nella sua pazzia.
Il dramma si collega al ciclo del teatro nel teatro, perché anche qui avviene una recita nella scena, quella di Enrico IV. Quest'ultimo con la sua recita, costringe anche gli altri a mascherarsi, a recitare, per assecondarlo, ma proprio così mette in luce la finzione di cui sono prigionieri nella vita quotidiana.

L’ULTIMA PRODUZIONE TEATRALE

La successiva produzione drammatica di Pirandello tende a riprodurre gli schemi di quella precedente. Questa fase è stata definita "Pirandellismo" perché non caratterizza solo lo scrittore ma anche suoi imitatori.
Sul finire degli anni 20 compaiono nella sua produzione teatrale nuove direzioni di ricerca: l'umorismo tendeva a scomporre la realtà, svelando stridori, contraddizioni, dissolvendo l'idea di una totalità organica. In questa fase egli passa dal lucido razionalismo umoristico critico, ad un irrazionalismo magico e simbolico che lo ricollega al clima decadente. Alla base di questo cambiamento vi erano motivazioni storiche: il primo Novecento era stato il periodo delle avanguardie; dal 1926 si assiste ad un ritorno all'ordine.

I MITI
Di questa nuova tendenza sono espressione i tre cosiddetti miti pirandelliani: testi teatrali che non rappresentano più la realtà sociale borghese ma contemporanea in un'atmosfera mistica è simbolica. Questi sono: Nuova Colonia, Nazzaro, Giganti Della Montagna.

I Giganti Della Montagna
Rappresenta il suo testo più significativo, nonché il suo testamento spirituale. L'opera affronta un problema che assilla lo scrittore, quello della posizione dell'arte teatrale nella realtà moderna.
Un’attrice vuole portare tra gli uomini il messaggio estetico ostinandosi eroicamente a recitare "la favola del figlio cambiato", il testo di un poeta che l’aveva amata e che era morto (l’opera, in realtà è di Pirandello stesso), ad un pubblico volgare che rifiuta l'arte. Di contro il mago Cotrone, chiuso in una villa appartata dal mondo, afferma che l'arte può vivere solo nella fantasia, nei sogni, quindi è autosufficiente e non deve cercare il contatto con la società e con il pubblico. Il mago non riuscendo a convincere l’attrice, chiede aiuto ai giganti, potenti creature che vivono sulla montagna e simboleggiano il potere. Lei recita la favola di fronte ai servi dei giganti, ma quegli esseri rozzi sbranano lei e i suoi collaboratori. In quest'opera si può cogliere l'eco di un esperienza vissuta da Pirandello: egli aveva rappresentato a Roma la sua "favola del figlio cambiato" trovando una scarsa approvazione da parte del regime.

L’ULTIMO PIRANDELLO NARRATORE

In una direzione affine a quella dei miti teatrali si muovono le novelle scritte negli anni 30.  In alcune di esse è mantenuto un riferimento alla realtà comune, ma alla rappresentazione umoristica si sostituisce lo scavo nella dimensione dell'inconscio.

I PIEDI NELL'ERBA
Un uomo anziano a cui è morta la moglie trascorre il suo tempo ai giardini pubblici; qua vedere i bambini che corrono a piedi nudi sul prato; anch'egli sente l'impulso irresistibile di denudarsi i piedi, di immergerli nel fresco dell'erba. Il gesto apparentemente assurdo, rileva un bisogno di regredire all'infanzia, per trovare una vitalità ormai perduta. Si sottolinea il carattere esibizionistico.

IL CHIODO
In cui un ragazzo di buona famiglia, per un impulso misterioso e irresistibile, uccide con un grosso chiodo arrugginito una bambina di otto anni esprimendo così il rifiuto di crescere.

C'È QUALCUNO CHE RIDE
In un clima surreale, fantastico, in una festa mascherata molto ufficiale e seria, c'è una famigliola che si abbandona a un riso giocoso. Il riso rappresenta l'erompere delle pulsioni più profonde dell'inconscio, da cui la civiltà si sente minacciata.

IL SOFFIO
In cui un uomo scopre che, soffiando sul pollice e indice uniti, può uccidere e seminare intorno a sé la morte, in una specie di apocalisse. Il protagonista finisce per soffiare contro la propria immagine riflessa in uno specchio, autodistruggendosi.

UNA GIORNATA
Un uomo, strappa dal sonno, si trova buttato fuori dal treno, di notte, in una città sconosciuta. Non ricordo nulla di sé, della propria vita. Ma la gente mostra di riconoscerlo. Guardandosi allo specchio si scopre già vecchio, mentre il giorno prima era ancora giovane. Gli vengono annunciati i suoi figli, vecchi anche essi. La novella è forse la metafora della vita, del rapido fuggire del tempo.

DI SERA, UN GERANIO
Descrive l'esperienza di un'anima che si era appena staccata dal corpo, e si cala in un geranio.


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